Mettetevi comodi e preparatevi a stare attenti miei cari lettori perché in questo post salteremo di città in città in un avanti e indietro caotico (ma non troppo) che vi farà capire del perché di questo paragone quasi blasfemo. La presenza di queste due città agli antipodi nella stessa frase è dovuta alla mia volontà di voler saziare la mia voglia di Spagna nei pochi giorni liberi a disposizione della mia permanenza ad Alicante. E dunque, nella mia unica domenica libera, ho deciso di fare una doppia tappa. Altea la mattina e Benidorm il pomeriggio/sera.
Se non avete familiarità con questi due nomi, vi faccio uno schizzo a parole per farvi capire quanto si differenziano. Immaginate un paesaggio di un bianco abbagliante, con case basse e arroccate intorno ad una collinetta, sormontata da una cupola di lucide piastrelle blu che brillano contro il sole. Sembra quasi la Grecia, ma invece è Altea, che non a caso viene soprannominata “La Santorini di Spagna”.
Dall’altra parte di questo ring, invece, abbiamo grattacieli che svettano contro il cielo, spiagge chilometriche dotate di ombrelloni tutto l’anno e orde di turisti, con braccia e gambe già color gamberone, intente a fare incetta di souvenir. Siamo a Benidorm, la terza città per grattacieli in Europa e una con la più alta concentrazione per dimensioni, pensate, al mondo.
Alla ricerca della finzione più vera: due modi di fare il turismo
Diciamoci la verità, quando si tratta di città così turistiche, la ricerca di una qualche e assoluta autenticità resta un’utopia. Dunque, per quanto apparentemente una più “vera” dell’altra, entrambe le città sono dotate di quell’aria da parco giochi tipica di questi luoghi.
Altea ha un’anima quasi pigra, con i suoi visitatori mollemente abbandonati sulle sedie dei suoi caffè, che si tirano dietro la sedia solo per ricercare uno spicchio d’ombra. Occhiali da sole che coprono occhi stanchi dall’estremo brillare di tanto bianco, un bicchiere di tinto de verano che aggiunge colore, passeggiate lente tra le pittoresche botteghe con i vestiti appesi ai muri. Anche la moda qui è tenue, pallida e leggera, e sa subito di mare e piedi nella sabbia. Ad Aprile le spiagge erano deserte, al contrario dei ristorantini e caffè affacciati sul mare, quasi i commensali fossero stati pronti pronti a levarsi le vesti quotidiane per rivelare sotto un colorato costume da bagno. Altea ad Aprile sa di aspettative future, di un’estate alle porte, di promesse al sapor di salsedine.
Benidorm al contrario non dorme. Non c’è una primavera in questo regno dei grattacieli, e già vedi corpulenti signori sdraiati sotto il debole sole pomeridiano, incuranti del vento freddo. Il lungomare sa quasi di Stati Uniti, con i principali fast food che sfilano di fronte il passante con le loro familiari insegne. Un verde karaoke bar attira i curiosi, che armati di smartphone immortalano un esuberante e improvvisato cantante che, impugnando un mojito con ombrellino, delizia gli astanti più con l’entusiasmo che con le effettive doti canore. E gli amici che si circondano le braccia intorno alle spalle aiutandolo nel ritornello con quelli che paiono ululati danno subito una sensazione di festa: qui gli occhiali da sole servono a coprire i segni delle malefatte della sera prima.

Questione di livello
Altea e Benidorm non sono solo una questione di stile di viaggio e di vita, non solo una questione di attività. Per me è stata una questione di livello. Se ad Altea era possibile ricercare arte e cultura nelle piastrelle decorate, nelle iscrizioni storiche e nella volontà di preservare il centro storico nel suo immacolato candore tradizionale, a Benidorm tutto ciò non solo è perduto, ma anche volontariamente e con orgoglio. Il simbolo di questa città è il suo skyline, di cui tanto va fiera da riprodurlo ovunque. E l’antico villaggio di pescatori che è stata negli anni ’60 è ricordato in giro in stampe di foto d’epoca che vogliono testimoniare una velocità di evoluzione degna degli Emirati.

Eppure, e sarà magari una sensazione mia più che la verità assoluta, quest’evoluzione sa di falso. Una facciata apparente che si sgretola tra gli innumerevoli e identici negozi di paccottiglia made in china, souvenir in plastica scadente a prezzi stracciati e catene in franchising che si ripetono pressoché a blocchi in ogni via un po’ più popolata.
L’inquietante risultato è che Benidorm, paradossalmente, era decisamente più popolata di Altea. Più cose da fare, meno costi fissi, più familiarità con l’estero. In una parola, comfort zone. Finta, ma comoda.
Dico che il turista che visita una Benidorm è un turista di “livello più basso” a quello che visita Altea? Beh sì, lo dico. Perché Benidorm diventa lo specchio di quello che può fare la ricerca del turismo di massa ad un villaggio di pescatori, snaturarlo, farlo diventare una cattedrale di cemento, e riempirlo di plastiche cinesi e fast food da due lire.
E questo, purtroppo, funziona.

L’autenticità di un luogo è ciò che rende il viaggiare ancora sensato. Non capisco che piacere ci sarebbe nel ricercare “casa” fuori dalle proprie mura domestiche. So che è una battaglia alla Don Quijote, ma nel nostro piccolo qualcosa la si può fare: rispettare le culture diverse, anche quelle apparentemente più vicine, e pensare all’impatto turistico, perché neanche quello è sempre un bene.
Scusate il post pesantissimo, vi giuro che la prossima volta torno a parlare di sole, mare e paella!
Meraviglioso!!! Stavo giusto cercando dove andare in vacanza xD
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Quale delle due città fa al caso tuo? 😉
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Altea sembra veramente bella!
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