L’inizio è simile agli altri di questo viaggio, un’attesa noiosa in autostazione circondati da backpackers e non, l’arrivo del bus, la ricerca di una posizione decente per trascorrere la lunga notte che viene tradita da un inatteso sovraffollamento. Tengo il conto della lunghezza del viaggio tra una fermata e l’altra, sbirciando tra le sagome, rese nere dalla notte, dei passeggeri che salgono e scendono. Budapest ci accoglie all’alba con una pioggia leggera e un cielo grigio. Dopo tanti giorni in giro per l’Europa fatti di viaggi scomodi e dormite nei parchi abbiamo bisogno di una pausa. Il nostro couchsurfer, Soma, ci aspetta anche se sono le sette del mattino. Ci apre la porta ancora insonnolito, scalzo, ci abbraccia come fossimo vecchi amici e ci lascia casa per andare a lavoro. Non ce lo facciamo ripetere due volte. Dopo una lunga doccia cadiamo in un sonno pesante, che si interrompe solo verso ora di pranzo tra i brontolii dei nostri stomaci. Non l’inizio più entusiasmante, ma siamo praticamente in centro, seppur un centro immenso, quasi inquietante nelle sue distanze e nei suoi imponenti monumenti.

Se l’inizio è stato tiepido, il continuo è una sorpresa. Budapest è una sorpresa, una capitale straordinaria, troppo da vedere, da fare, luoghi dove andare così lontani gli uni dagli altri che camminiamo per ore e ore. Soma, fin dal primissimo secondo, diventa nostro amico, camminiamo la notte in un parco e parliamo di spiritualità davanti il Parlamento illuminato, con una birra in mano che anche qui costa poco. Ricambiamo con una carbonara un po’ fallimentare per via degli ingredienti ma molto apprezzata, mentre la sua ragazza ci delizia con biscotti fatti in casa dalla nonna. E di giorno continuiamo a marciare, salendo su colline e contemplando panorami sterminati, con Budapest che si estende a perdita d’occhio e silenziosamente mi rimprovera di averla sottovalutata. Questo non è luogo da toccata e fuga, e tre giorni sono troppo pochi per comprenderlo. Ma abbastanza per innamorarsene.
Azzurro come le acque termali
Arrivati a Budapest, complice la stanchezza di cui sopra, la tentazione di immergersi nelle celeberrime acque termali della città per lavare via gli acciacchi di viaggio è così forte che non cedergli è impossibile. Il nostro equipaggiamento si limita ad un’accappatoio in microfibra per due, non abbiamo né cuffie né tanto meno infradito. Però il costume c’è, dunque andiamo. Se le terme più famose sono quelle di Széchenyi, scegliamo, dietro consiglio, quelle di Rudas, costruite durante la dominazione turca. Qui si nasconde, sotterranea, una vasca di oltre 500 anni! Pensate che fino al 2005 queste terme erano interdette alle donne, che possono recarsi in questa vasca solo il giovedì o nel week end, quando le terme sono aperte a entrambi i sessi. Altrimenti resta “men only“. Ogni giorno però è possibile salire sul tetto e coccolarsi in una piccola (e sovraffollata) vasca panoramica con vista sul Danubio. L’ingresso costa circa una decina di euro, e include diverse saune.

Acciaio come il Ponte delle Catene
Budapest è fatta di parecchi simboli, come il Parlamento ispirato a quello londinese con le guglie bianche che si stagliano contro il cielo, o il Bastione dei Pescatori, finestra su Pest che ne incornicia il panorama tra archi e torri neogotiche, o ancora il celeberrimo monumento delle Scarpe sulla riva del Danubio, fortissimo memoriale della strage ebraica. Ma il simbolo più affascinante per me resta il Ponte delle Catene. Sarà forse il nome altisonante, o i cavi d’acciaio bullonati che sembrano direttamente usciti da un racconto steampunk, fatto sta che di notte o di giorno ha quell’imponenza inquietante tipica di questa città. Senza contare che è l’anello di congiunzione tra i cuori di Buda e Pest.
Sabbia come la Citadella
Se prima ho scritto di simboli, di questa roccaforte di Buda non avevo mai sentito parlare. E non sapevo neanche cosa aspettarmi dalla Citadella, l’avevamo vista da lontano, valutandone il percorso che si snodava su per la collina come fattibile o meno. Alla fine siamo saliti, e scarpinando per una buona mezz’ora siamo persino arrivati in cima. Forse c’era un percorso più facile sul retro, chissà, ma il panorama è stato più apprezzato così.
Qui alla Citadella il tempo sembra davvero fermo. Mi ha stupito vedere, in così poco spazio, ben due banchi con la famigerata truffa delle tre carte. Fortunatamente i turisti di oggi sono più scaltri di un tempo, eppure la presenza di questo gruppo di signori che, alla luce del sole, si scambiava tra i due banchi, ripetendo la solita pantomima davanti agli astanti, mi ha fatto correre un brivido lungo la schiena. Soprattutto al pensiero che per continuare ad esistere, forse, qualcuno alla fine continua a cadere vittima di queste trappole.

Giallo come il Langos
Un chioschetto davanti la stazione metro di Arany Jànos con una fila perennemente presente e l’insegna bianca e rossa dal tocco un po’ vintage aveva attirato la nostra attenzione già da un po’. Poi è arrivato il consiglio del nostro couchsurfer di provare quello che è uno dei piatti tipici dello street food ungherese, subito diventato il nostro preferito! Perché il Langos, frittella di acqua e farina condita con panna acida, formaggio e diverse combinazioni di ingredienti, ha un rapporto qualità prezzo fenomenale. Con appena 1 – 2,5 euro la sazietà è assicurata. Per noi quello di Retró Lángos Büfé non si batte!

E siamo arrivati alla fine anche dei quattro colori di Budapest. D’altro canto siamo già davanti la stazione della metro, è il momento di salire a bordo fino all’autostazione per aspettare l’ultimo bus. Qui la meta, se ricordate, diventa incerta. Ed è così che, salutando l’idea di andare in Slovenia, torniamo in Germania. Nel prossimo e ultimo post vi racconterò come siamo finiti a Monaco di Baviera!
La tratta Praga-Budapest è stata davvero la più scomoda di tutto il viaggio. Non l’augurerei al mio peggior nemico.
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Sempre meglio di Napoli – Catania con Trenitalia per il primo Maggio! 😉
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