Oggi è il #CarbonaraDay, ma all’apertura del mio frigo capisco che non potrò celebrare come di giusto, perché se la mancanza di quei tre semplici ingredienti che la costituiscono può essere facilmente risolta con un salto al supermercato più vicino, l’emergenza COVID-19 mi fa desistere: ore di fila e pubblica gogna per aver acquistato due cose in croce, senza mettere in conto il classico anziano torinese che si aggira da queste parti tossendo indisturbato sui passanti mi fa preferire lasciar perdere, quest’anno.
In preda all’irrazionale nostalgia tipica di questi tempi (a me viene ormai per qualsiasi cosa, dai ciliegi di Tokyo che non ho mai visto in fiore fino al kebab da due soldi che fanno a 500mt da qui, ormai chiuso da settimane), scorro le foto di carbonare passate e mi viene un illuminazione: tesserò un ode. Che ovviamente non so comporre, quindi sarà solo un modo altisonante per chiamare un post fatto di ricordi di un piatto che secondo me rappresenta il tipico italiano all’estero, expat o meno. Proprio qui comincia il nostro viaggio tra le carbonare del passato, del presente, e del futuro (ovvero quella che mangerò quando tutto questo finirà).
Carbonara estera: croce e delizia dell’italiano
La carbonara dovrebbe essere un piatto semplice. Uovo, guanciale, spaghetti, pepe, pecorino romano. Una di quelle ricette classiche e facili che dovrebbero saper fare tutti. Eppure, all’estero, la carbonara si trasforma in mostro ibrido fatto di panna, bacon, uovo crudo poggiato sulla sommità di quest’ammasso di colla chiamato shpagheti, a mo’ di cappello. A mo’ di lapide sulla bara.
Non so, secondo me non è una ricetta poi così complessa. E allora, ogni qual volta scatta quello scambio di cucine tipico di chi vive all’estero da expat, ecco che la paladina della cucina italiana che c’è in me balza fuori e annuncia “Ve la cucino io la vera carbonara”. E già qui c’è un fondo di menzogna perché all’estero non troverò mai gli ingredienti giusti, e ogni volta sarà sempre una pallida imitazione dell’originale, ma con fare “canavacciuolesco” mi armo di mestolo e manate per istruire i miei poveri ospiti su come fare bene la pasta.
Se vi ricordate post passati ho litigato con il mio padrone di casa francese che sosteneva come la carbonara italiana fosse incompleta in quanto privo di “creime fraiche“, o di come abbiamo rischiato di avvelenare i nostri couchsurfer ungheresi propinando loro un piatto che puzzava di piedi grazie ad un non meglio identificato “Italian Cheese“.

Una volta ho persino creato un obbrobrio bianchiccio con ingredienti acquistati in Taiwan basandomi sulle figure come il peggiore degli analfabeti. E dulcis infundo ho persino tentato di avvelenare me stessa con una carbonara fatta con ingredienti presi ad un 7eleven di Kyoto, quali bacon a fette, uova e qualcosa che forse poteva essere mozzarella grattugiata, ma non ne sono sicura. Fatto sta che aveva un retrogusto dolce che non ho mai sperimentato prima e dopo, che preferisco non sperimentare mai più.

Insomma, che la si cucini per sé o per gli altri, che la si cerchi in un ristorante, che gli si venga propinata da ospiti zelanti che vogliono “farti sentire a casa”, prima o poi una carbonara all’estero si mangia sempre. La si mangia provando nostalgia per quella vera. Croce e delizia, vi dico, perché la carbonara si mangia bene solo in Italia, e probabilmente solo a Roma e dintorni.
L’Originale
Restando in tema, voliamo a Roma, dove ho vissuto per quasi due anni. Qui vive la carbonara vera, quella col guanciale e il pecorino romano che diciamoci la verità, noi non laziali mica la facciamo così a casa. Tutta un’altra storia. La prima carbonara doc l’ho mangiata a casa di una mia amica, preparata dal romanissimo fidanzato della stessa, che chiameremo per comodità Zì Alex (che poi sarebbe il suo nome, più o meno). Zì Alex ci fa la carbonara col guanciale che scrocchia, ce ne fa un quintale, roba da ricovero. Come primo impatto è un buon primo impatto. Ma di ristorante in trattoria credo che l’originale carbonara suprema sia quella di Tonnarello a Trastevere, sarà il fascino della padellina dove te la servono, saranno le ore di fila sotto il sole a pico che te la fanno piacere di più, fatto sta che se devo indicare la migliore carbonara mai mangiata in un ristorante, probabilmente indicherei questa.
La Carbonara casalinga: quella sbagliata
Nessun italiano lo ammetterebbe mai pubblicamente, ma la carbonara più diffusa in Italia, quella che tutte le mamme e le nonne fanno in casa (salvo quelle Laziali) è la carbonara con pancetta e parmigiano. Sì, lo so, lo so. Non fate gli indignati perché so bene che tutti voi l’avete fatta così molte più volte di come avete fatto l’originale, non prendiamoci in giro. La carbonara casalinga per me è la carbonara di Alessio, il mio ragazzo, la cui passione per i fornelli è molto più grande di quanto la sua formazione ingegneristica lasci pensare.
La “carbonara di Alessio“, ormai è questo il nome dell’ufficiale ricetta richiesta da amici e parenti in visita, ha come ingredienti principali la pancetta da discount più economica che si può trovare in circolazione, quella di sottomarca tagliata storta con più grasso che carne (vi assicuro che abbiamo provato marche più blasonate ma il risultato è inferiore), il tocco di grana preso al mercato rionale perché una banale bustina di pregrattato da studente fuorisede non basta per la quantità mostruosa che ne usa, le uova intere, tutto insieme, rosso, bianco, non ci facciamo mancare niente, e il pepe nero. Spaghetti del discount di cui sopra, braccia forti per mantecare bene in padella la mostruosità di pasta al dente scolata per l’occasione e lotta per il bis finale completano il quadro. Gli amici in ascolto possono confermare che mai un singolo spaghetto è stato disonorato quando viene preparata! Con buona pace dell’originale.
La Carbonara “sentimentale”: quella dei ricordi belli
La verità però è solo una. Quando si parla di “viaggio e carbonare” la prima e unica che mi viene in mente è la Carbonara dello Zio Filippo. “Da Zio Filippo” è una…pizzeria. Esatto, una pizzeria che si trova precisamente di fronte la stazione di Pisa Centrale. Ma per capire che ci fa la carbonare di una pizzeria in questo post dobbiamo ritornare indietro nel tempo, quando vivevo ancora a Catania e insieme agli amici di sempre facevamo ogni anno 12+ ore di treno per andare a Lucca Comics & Games. Catania – Pisa, in notturna. E viceversa. Ogni anno, per 6+ anni, la sera dell’ultimo giorno, direttamente dopo l’evento, ancora carichi di buste piene di fumetti, giochi da tavolo, cosplay, stanchi morti e disfatti dalla tipica pioggia della convention, andavamo a Pisa Centrale, per ripartire con il treno delle 23.59. Affamati, il primissimo anno, ci siamo rifugiati in questa pizzeria. E dopo giorni e giorni di orrende pizze toscane (non me ne vogliano i toscani, fate tante altre cose buonissime), ordiniamo una Carbonara. La Carbonara dello Zio Filippo è tutta sbagliata, forse ha anche la panna nel mezzo ma non diciamolo a voce troppo alta. Fatto sta che è calda, è buona, ed è tantissima. Da quell’anno diventerà un rituale quasi sacro. Non si conclude il Lucca Comcis senza la Carbonara dello Zio Filippo.

La Carbonara dello Zio Filippo non è tanto il piatto di pasta in sé, siamo me e i miei amici seduti al ristorante devastati dall’evento, le valigie incastrate dietro e sotto il tavolo, a ripercorrere cinque o più giorni di ricordi non per forza piacevoli, uniti nella disperazione del viaggio che ci aspetta. Ogni volta che penso a quella carbonara mi ricordo di quei momenti, e non c’è nulla di meglio del cibo per ricordare, lo dice anche Proust alla fine, no?
Insomma, alla fine la carbonara è proprio questo, un segno di amicizia verso chi ti ha ospitato, una carezza italiana che ci si concede quando si è fuori, un piatto da condividere per suggellare esperienze vissute insieme.
La Carbonara, insomma, è amicizia da mangiare!
Sarà anche “quella sbagliata” ma la mia carbonara è la più buona di tutte!!
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La carbonara fatta in casa, giusta o sbagliata che sia, è sempre la più buona se fatta con sentimento! 😂
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